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    Carlo Guandalini

    Scrittore

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    La Romagna resiste ❤️ La Romagna resiste ❤️
    “Sono già le cinque”, pensò Marco con un sen “Sono già le cinque”, pensò Marco con un senso d’urgenza mentre spegneva il suo portatile e lo infilava nella custodia. Benché fosse in ufficio dalle otto, la sua giornata di lavoro non era ancora terminata e come da agenda lo aspettava una visita alla filiale di Calderara. Messaggiò ad Alessandro di tenersi pronto perché stava per arrivare.
	Per la strada c’era traffico, era l’ora di punta. Impiegò ben venti minuti da Corticella a Calderara, tempo che utilizzò per fare qualche telefonata di lavoro. Compresa la solita chiamata a Eleonora.
	“Ciao, Ele! Ho visto i dati di vendita della giornata di ieri, hai letteralmente spaccato, come dici tu!”
	“Hey,  capo! Visto che roba? Beh, quando si ha un maestro così...”, lo adulò un poco la donna, sapendo di procurargli un sottile piacere.
	“Dai, stasera stacca presto, vai a casa e goditi un bel Franciacorta, te lo meriti”, le suggerì con tono premuroso il manager conoscendo gli interminabili orari di lavoro della giovane, molto simili ai suoi. In verità, avrebbe desiderato dirle di tenersi pronta perché quella sera, per celebrare i risultati vincenti ma soprattutto per festeggiare insieme San Valentino, sarebbe passato a prenderla alle otto e l’avrebbe portata fuori a cena, magari in un ristorantino tipico della sua Ferrara, città che lei non conosceva. 
	In realtà le disse soltanto che stava andando a visitare il negozio di Calderara dove si sarebbe intrattenuto con Alessandro Fogli fino alle sette, sette e mezza. Alle otto, però, voleva essere già a casa perché quella era stata un’altra giornata molto pesante.
	“Figurati, Marco, io alle otto ho in programma addirittura una cena!”
	Marco tacque per un paio di secondi, totalmente spiazzato da quell’informazione. Sapeva molto bene che quella era la sera di San Valentino. Il cuore prese a battergli come quello di una mosca intrappolata nella tela d’un ragno. Faticò non poco a dissimulare l’emozione nella voce.
	“Hai un incontro galante?”

Dal romanzo “La libertà”, di prossima pubblicazione

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    Appena la manager uscì dal negozio Ascanio tornò Appena la manager uscì dal negozio Ascanio tornò a sentirsene l’indefessa padroncina. Il palco era suo, ora toccava a lui! Entrò nei reparti di vendita per controllare che tutto fosse come doveva essere. Gli piaceva da morire passare in rassegna le commesse e redarguirle a dovere, su come dovevano accogliere, sorridere, gesticolare, sedurre: “Guardate me, copiate da me, ragazze!”.
Le addette dei reparti consideravano ‘Cul-as-cranio’ - così l’avevano soprannominato - come una diva isterica da assecondare, adulare e scimmiottare per ingraziarsela e rimanere tranquille. Appena udivano i suoi passettini veloci che s’avvicinavano battendo i tacchetti delle sue coloratissime scarpette, iniziavano a trottare come formiche a mostrargli d’essere in frenetica attività e scampare così la temutissima rassegna di dettaglio. Questo stratagemma veniva adottato dalle ragazze solo quando Emanuele non era in turno e l’eccentrico kapò col lucidalabbra doveva per forza ripiegare sulle donne, prendendo di mira una di loro; invece, se Emanuele era in turno, già si sapeva che Cul-As-Cranio avrebbe tartassato solo lui e lui soltanto. Quel giovane commesso diafano e delicato era diventato, suo malgrado, l’ossessivo oggetto di desiderio dell’assistente di Eleonora Mazzanti. Difatti, Ascanio gli faceva una corte spietata.
Il nevrotico milanese le aveva provate tutte per assoggettarselo, ma Emanuele non s’era mai piegato ai capricci dell’isterico influencer né aveva ceduto alle sue viscide corruzioni; anzi, a dispetto del suo etereo aspetto angelico, gli aveva sempre risposto per le rime: a lui ‘piacevano le prugne, quelle genuine, quella vere, non edulcorate’. 
Com’era prevedibile, su pressioni di Ascanio, il contratto stagionale del bravo e solerte Emanuele era cessato a marzo senza alcuna possibilità di rinnovo e le povere commesse erano rimaste da sole a sopportare quell’umano travaso di bile impolverato di make-up. 

Dal romanzo “La libertà”, di prossima pubblicazione

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    “Il volantino cosa propone?” Martino capì s “Il volantino cosa propone?” 

Martino capì subito che il suo capo lo stava stuzzicando per portarlo in un vicolo cieco e dargli un’umiliante strigliata. Sapeva d’avere sbagliato anche quella volta. Sentì risuonare quelle parole nell’aria come fossero state esplosioni atomiche. Poi il silenzio. Un silenzio che, ora, toccava a lui di riempire. 

Cercò nella mente qualche brandello di giustificazione che potesse sembrare logica ma ebbe la sensazione sgradevole d’un viandante immerso nella nebbia che non sa dove andare. S’era accorto, nel frattempo, d’avere iniziato a grattarsi il collo senza averne effettivo bisogno, mentre una vampata di calore gli arrossava le orecchie a sventola evidenziandone ancora di più la convessità. Di certo, Marco lo avrebbe tartassato di nuovo. 

Deglutì. Poi prese coraggio e rispose senza più pensare a nulla.
“Ti stupiremo con effetti speciali. È una scelta di marketing locale!”, ridacchiò guardando in faccia le due commesse, imbarazzate più di lui, come per tranquillizzarle che tutto era sotto controllo. Marco non rispose. Lo fissò negli occhi marroni con uno sguardo pacato e urticante, al vetriolo, aspettando di vedere l’odiato cialtrone sgonfiarsi e cadere in ginocchio a chiedergli scusa. 

Martino, però, sostenne quello sguardo truce e, anzi, gli rigettò addosso una fiammata d’astio e di sfida. Era stanco di venire umiliato in quel modo, ne aveva abbastanza di quelle subdole mortificazioni. I due rimasero a scrutarsi immobili a un metro di distanza l’un l’altro e le commesse temettero di vederli scattare all’improvviso per venire alle mani. Martino era più alto di Marco, più muscoloso, più giovane di almeno vent’anni. Più irruente, più esuberante, più sanguigno. Fisicamente più forte. Ma Marco aveva la forza della maturità. La conoscenza. L’autorità. Il potere. 
	Continuarono a fissarsi negli occhi in silenzio, come due gorilla prossimi ad azzannarsi. 

Dal romanzo “La libertà”, di prossima pubblicazione

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    Fu così che la spumeggiante Eleonora illustrò a Fu così che la spumeggiante Eleonora illustrò a Marco il suo piano. Per spaccare davvero, in quel negozio di San Lazzaro, lei avrebbe dovuto operare a un livello ancora più strategico, delegando le attività operative a terzi. Aveva bisogno di assistenza. Una risorsa creativa come lei e allo stesso tempo orientata all’obbiettivo, efficace nell’esecuzione. 
	Ascanio Ferretti, questo era il suo nome, aveva maturato esperienza a Milano nell’industria della moda e del design. Disponibile da subito, era un creativo influencer nonché Youtuber provetto; conoscitore delle tendenze d’avanguardia, una laurea in scienza della comunicazione, sapeva coniugare l’estro con il business, il colore col numero. Lei lo conosceva di persona, ci metteva la mano sul fuoco: quel Ferretti era una vera macchina da guerra! 
	“Che cosa dici, gli vorresti fare un colloquio?”, chiese infine Eleonora fissando il proprio capo negli occhi per sondarne la reazione. 
	Per un attimo Marco si lasciò naufragare dolcemente nel mare di smeraldo di quegli occhioni languidi; gli parve di risentire il profumo inebriante e il calore sensuale che il corpo di quella donna emanava e dovette trattenersi per non abbracciarla all’improvviso e morderle il collo e succhiarle le labbra e toccarle i seni e sbatterla contro il muro dell’ufficio. Sì, entrare in lei e nel suo mondo intimo ed accasciarsi esausto, arrivati a compimento, lasciandosi addormentare come un bambino accanto ai suoi magnifici fianchi vellutati. 
	“Un colloquio?”, le rispose come destandosi da un sogno, “non c’è bisogno! Lo sai che di te mi fido. Totale autonomia. Procedi pure!”

Dal romanzo “La libertà”, di prossima pubblicazione

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    A scuola era sempre stato un disastro, soprattutto A scuola era sempre stato un disastro, soprattutto nelle operazioni algebriche. Non s’impegnava a studiare né fingeva di farlo, gli bastava raggiungere la mera sufficienza con stratagemmi poco nobili ma spesso efficaci: copiare durante i compiti in classe e sedurre la professoressa col proprio fascino da bel somaro simpatico. Lo salvava la curiosità, le domande acute che, pur sconnesse dai libri di testo, faceva all’improvviso, generando discussioni che mettevano in risalto la sua intelligenza. Poi, però, rovinava tutto col proprio cinismo. Sua madre lo apprezzava per questo suo dono innato ma alla fine non tollerava che andasse male a scuola.
	Avrebbe potuto essere diversamente? 
	Negli ultimi anni, però, Enrico pareva cambiato, parlava molto di meno e rifletteva su ogni cosa gli dicessero, come se volesse afferrarne il significato recondito, il messaggio criptato; comprava molti libri, quasi desiderasse recuperare il tempo perduto al liceo. Aveva iniziato a leggere saggi di fisica quantistica per principianti, libri tascabili di astrofisica, rudimenti di filosofia. Spesso non ci capiva niente ma quelle letture, che mai terminava, erano sufficienti per infondergli l’ennesimo dubbio, per trovare un nuovo pretesto e cercare un’altra risposta.

Da “Strade della Bassa”, acquistabile online su www.amazon.it 

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    Rossana soffriva d’ansia. Non che lo volesse: er Rossana soffriva d’ansia. Non che lo volesse: era più forte di lei. Non era bella, non era brutta: aveva la pelle del viso un po’ butterata che lei copriva col fondotinta, ma i buchetti sulle guance s’intravedevano impietosi; in famiglia scherzavano dicendo che quel trucco era come sterco di maiale, non le faceva bene ma neppure troppo male. 

Marino aveva studiato da ingeniere ma non s’era mai laureato. Serviva la carne alla Conad del Lago raccontando che era una cosa provvisoria perché, prima o poi l’avrebbero assunto alla Nasa. Era un bel biondo ma i capelli parevano stoppa, forse perché non li pettinava mai. Aveva un musetto da furbo ma il naso pareva scolpito col ferro da stiro. 

Rossana e Marino filavano insieme da meno d’un anno. Abitavano a Rimini ma odiavano il mare, non sapendo affatto nuotare. Un giorno di pioggia, mentre camminavano sul molo, li sorprese la marea e per non bagnarsi le scarpe pensarono bene d’arrampicarsi sul muro. Una volta saliti, scoprirono quant’è bello pomiciare guardando le onde dall’alto e non scesero più.
    Era stata un’idea geniale organizzare il capodan Era stata un’idea geniale organizzare il capodanno a Milano per sfuggire alle monotonia del tran tran quotidiano, ma soprattutto per supplire a chi non l’avrebbe potuta soddisfare carnalmente, quella sera. Distrarsi dagli affanni del lavoro visitando la sua amica speciale le aveva fatto bene. Una toccata e fuga davvero salutare, anche se il veglione in quella discoteca aveva ben poco a che fare con la salute. Verso le due di notte, infatti, la Perla Nera s’era riempita come un uovo, trasformandosi in una vera e propria sauna dove i fumi asfissianti, le luci stroboscopiche e la musica assordante erano stati capaci di mutare quel variegato bestiario di dannazione umana in un’élite ammaliante che s’ammassava nel piccolo locale  in cerca d’avventura. 
	Quando Godiva si tolse dalle spalle il boa piumato per accalappiare un ballerino come previsto dal copione, vide con una punta d’invidia la sua bella amica Miranda che senza pudore, ubriaca fradicia, si lasciava già palpeggiare dall’aitante Ernesto del negozio di scarpe, confortata dal fatto che, il giorno successivo, sarebbe già stata libera e lontana centinaia di chilometri da quella situazione. 
	Parevano due serpenti in calore, sempre più avvinghiati e piroettanti al ritmo della musica. Lui probabilmente strafatto di cocaina, lei strafatta di Gin Lemon. Entrambi liberi e vogliosi in quella rovente notte di freddo gennaio meneghino. Entrambi alla ricerca d’una sveltina nei privé del Perla Nera dove, davanti a un pubblico di perverse anime sole, s’esibivano cubisti oliati e truccatissime drag queens.

(La libertà, di prossima pubblicazione)

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    Marco guardò lo schermo del cellulare: erano le v Marco guardò lo schermo del cellulare: erano le ventitré e cinquantotto, mancavano due minuti a mezzanotte.
	Allungato sul divano, con la faccia inespressiva, si concesse un altro calice di Franciacorta Satèn, comprato per l’occasione. La bottiglia era ormai vuota, ma non avrebbe avuto senso stapparne un’altra poiché, quasi a farlo apposta, c’era avanzato proprio l’ultimo bicchiere, quello del cincin. Socchiuse gli occhi e si lasciò trasportare lontano. S’immaginò d’essere fuori da quella stanza, in un luogo imprecisato, con paesaggi indistinti. Senza sapere dove. 
	Per un attimo, nella sua mente non c’era più nessuno. Nemmeno lui. Ogni tanto gli accadeva. Scomparivano i pensieri. S’accorciava la distanza. Tutto era così, senza bisogno d’altro. Così. Il primo botto gli parve un’esplosione nucleare. Poi altri rumori scoppiettanti, a raffica, come gli spari d’una mitragliatrice. Marco aprì gli occhi. Doveva essere già mezzanotte. Guardò il cellulare. Zero zero, zero zero. Mezzanotte.
	“Buon anno nuovo!”, sussurrò a se stesso, alzando ciò che rimaneva del sesto calice di Franciacorta e tracannandolo tutto d’un fiato. Poi si lasciò sfuggire un piccolo rutto discreto e abbozzò un sorriso indulgente. Fuori, intanto, i petardi e i fuochi d’artificio caserecci riempivano d’echi roboanti il quartiere, scoppiando all’impazzata come fossero state bombe d’una battaglia. 
	La gente festeggiava. Marco si chiese dove si trovasse Eleonora in quell’esatto momento. Forse proprio in piazza Maggiore, davanti al grande falò, con qualche vecchia compagna d’università, a ridere e cantare ‘caro amico ti scrivo’. Chissà come sarebbe stato quel capodanno, se lui e lei avessero potuto festeggiarlo insieme? Sarebbero riusciti a non parlare di lavoro? E poi, dopo il brindisi, che cosa sarebbe successo? 
	Eleonora. Si chiese ancora cosa stesse facendo, proprio in quell’istante. Chissà dov’era lei, nell’esatto momento in cui lui la stava pensando? 

(La libertà, di prossima pubblicazione)

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    In una notte ancora immatura benché già tinta di In una notte ancora immatura benché già tinta di nero, due anonimi ragazzi sopra un vecchio Vespino bianco percorsero viale Trieste in tutta la sua interezza, poi deviarono per via Nomentana, verso piazzale di Porta Pia. 
	Luca non sapeva esattamente dove avrebbe portato il giovane sconosciuto che aveva accettato quella passeggiata notturna, ma sentiva che non gliene importava molto della destinazione, l’importante era il viaggio. 
	“Dove vuoi andare?”, aveva chiesto Luca.
	“Dove mi porti?”, aveva risposto Checco. 
	Presero a camminare per le strade deserte di Roma immersa nella quiete notturna. Via della Scrofa li allontanò dal fiume e li fece approdare, attraverso qualche ulteriore passaggio fra gli alti palazzi antichi, a piazza Navona. 
	Attraversarono la piazza in silenzio. L’eco dei loro passi si smorzò ad un tratto nello scroscio della fontana dei fiumi, le cui acque fresche e trasparenti gorgheggiavano infrangendosi sul marmo delle statue. Quando uscirono dall’antico stadio divenuto poi una piazza, una lieve brezza profumata aveva cominciato a solleticare dolcemente le case e le cose, compresi i loro volti illuminati dai lampioni. Luca e Checco la sentirono mentre si muoveva quasi impercettibile fra i loro capelli come se fosse stato il soffio d’uno spirito vivo. 
	“È il Ponentino”, disse Luca. Talvolta, nel cuore di Roma penetra un misterioso venticello proveniente dal mare che solletica le pietre e rinfresca le statue dopo la calura del giorno. Chi lo sa annusare ne scorge l’alchimia dei profumi portati dalle correnti delicate ma soprattutto ne può ascoltare le parole sussurrate. Sono parole d’una lingua perduta che nessuno riesce a tradurre. 
	“Hai freddo?”
	“No, figurati. Mi piace il vento”.

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    Non appena Luca richiuse la porta della pizzeria, Non appena Luca richiuse la porta della pizzeria, la strada gli sembrò tutt’altra cosa anche se, all’apparenza, era tutto come prima. I palazzi signorili, i lampioni un po’ fiochi, il marciapiede dissestato, il suo Vespino parcheggiato. Rimase immobile a guardare le cose attorno a sé senza sapere esattamente cosa avrebbe dovuto fare. Restò imbambolato per qualche minuto, quasi se fosse stato sospeso a fluttuare nello spazio senza gravità cercando vanamente un appiglio in quell’insolita, rara dimensione. 
	Erano le dieci meno un quarto. Il tempo giusto per tornare dagli zii che forse lo stavano attendendo. Non aveva più niente da fare, fuori casa. Quella sera, aveva già fatto tutto quello d’importante che avrebbe dovuto fare. Tutto? Davvero tutto?
	Avrebbe mai potuto cambiare il corso degli eventi quando gli eventi erano già successi e parevano instradati verso il loro naturale decorso? 
Luca ebbe una strana sensazione, gli parve d’essere un granello di polvere dentro una città immensa, un minuscolo sassolino sul letto d’un torrente in piena che gli scorreva addosso noncurante e impetuoso. Si ricordò d’una storiella che gli recitava spesso sua madre quando voleva infondergli coraggio, che raccontava d’un piccolo sasso all’apparenza insignificante che, gettato distrattamente da un bambino sul letto del fiume, aveva avuto la strepitosa forza di cambiarne per sempre la corrente. Perché, anche se non lo pensiamo, tutto cambia e niente sarà mai più come prima. 
	Da solo sul marciapiede, ricordando il dolce sorriso di sua madre, Luca guardò il cielo e ricambiò al firmamento un crescente, timido sorriso. Erano sette anni che non sorrideva. Poi, sedutosi sul suo Vespino, si mise ad aspettare.

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    Esistono leggende su movimenti che ci trascendono. Esistono leggende su movimenti che ci trascendono. Le cose succedono dopo averle cercate o ne prendiamo coscienza a fatto compiuto? Luca non lo sapeva e di certo quella riflessione inutile non gli interessava nemmeno troppo. Mentre mangiava la sua pizza in silenzio non riusciva a staccare gli occhi di dosso a quel cameriere bello e cordiale che lavorava come un mulo. Era conscio di non potere restare troppo a lungo nel piccolo locale che nel frattempo s’era riempito come un uovo. Presto avrebbe dovuto lasciare il tavolo e la festa sarebbe finita. Che cosa avrebbe potuto escogitare per prendere tempo?
	Intanto il sosia di Ballone, dopo un’abbondante panna cotta sommersa di caramello, era pronto a levare le tende; Luca, però, non gli prestava quasi più attenzione, intento com’era a scambiarsi timide occhiate eloquenti col cameriere sempre più impegnato a piroettare nell’inferno delle comande. 
	Proprio in quel momento, la porta del locale s’aprì lentamente e tutti i presenti la videro entrare.

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